Dacia Maraini in scena

Quarant'anni di teatro al femminile raccontati da Angela Matassa e Gioconda Marinelli

di Anna Petrazzuolo

 

 

 

 

 

 

Il mio è un innamoramento, io amo il teatro e

considero l’atto rituale dell’apertura del sipario

un momento di grande emozione. In questo processo

creativo, in cui anche il pubblico è molto importante,

tutto può succedere una sera in scena.

 

                       [Dacia Maraini, Fare Teatro, Rizzoli 2000]

 

 

La parola alle donne: tutta l’opera di Dacia Maraini si snoda a partire da questa urgenza. Sin dagli esordi, l’attenzione per il mondo femminile costituisce l’ossatura di una scrittura transletteraria che attraversa i codici e infrange i confini tra un genere e l’altro per farsi macrotesto in cui narrativa e drammaturgia sono in egual misura strumenti al servizio delle donne.

Voci di donne si levano dai romanzi La lunga vita di Marianna Ucrìa (che nel 1990 vinse il Premio Campiello), Bagheria, Un clandestino a bordo, Sulla mafia (uscito in questi giorni per i tipi di Giulio Perrone Editore). Voci ma anche singhiozzi, urla, silenzi. Perché, per raccontare le donne, la Maraini sceglie il percorso più tortuoso, quello dell’impegno sociale e civile, quello della denuncia e dell’indignazione.


Questa stessa poetica sorregge i testi scritti per il teatro, anch’essi popolati da donne scomode, emarginate, violate, che vivono al di fuori dei canoni e delle convenzioni. A loro è dedicato Dacia Maraini in scena, saggio antologico scritto dalle giornaliste Angela Matassa e Gioconda Marinelli (con me nella foto) e pubblicato da Ianieri Editore. Con stile fluido e leggero, le due autrici ricostruiscono quarant’anni di intensa attività drammaturgica analizzando copioni, rivelando aneddoti e delineando il contesto storico che di volta in volta ha generato certi personaggi femminili. Conosciamo così Veronica Franco, meretrice e scrittora, discussa poetessa veneziana del Cinquecento realmente esistita; Zena, la strega sotto processo che diviene l’emblema della lotta all’intolleranza e al razzismo; Camille, che vive il dramma della solitudine e della follia. Tutte insieme rappresentano il volto di un teatro militante che ha mosso i primi passi nel piccolo Teatro Centocelle di Roma e che si è poi affermato su scala internazionale (basti pensare al successo di Maria Stuarda, opera recitata in tutto il mondo e tradotta in ben 22 lingue).

Completa l’esposizione un ricco album fotografico che immortala la macchina teatrale con i suoi artifici scenografici, i volti degli attori, la mimica dei corpi. In bianco e nero. In stile a volte grottesco o tragico, altre volte poetico o eroico. Perché tutto può succedere una sera in scena.

 

 

Foto di Maria Teresa Gargiulo

 

 

 

 

 

 

 

 

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