Giovani Scrittori Crescono
Parte il ciclo di interviste agli allievi che compongono la Giuria del Premio Perelà. Inaugurano la rubrica Chiara Marchetti e Luca Sciaḷ della Scuola Holden Si chiama Chiara Marchetti, ha 25 anni e una predilezione per la letteratura sudamericana, Garcia Marquez e Allende su tutti. Ama il teatro elisabettiano ma nelle sue letture trovano posto anche le voci femminili più moderne, come Ali Smith, Nicole Krauss e Chiara Gamberale. Ecco come racconta il suo rapporto con la scrittura.
Lei ha recentemente pubblicato il racconto Ascensori: com’è stato l’approccio con l’editoria?
Per quanto riguarda la pubblicazione di Ascensori, la mia partecipazione si è limitata a spedire una mail con il racconto al concorso da cui hanno poi selezionato i racconti per l’antologia. Ho pubblicato di recente un altro racconto nella rivista «Flair» e l’esperienza è stata molto interessante. Ho avuto la fortuna di essere seguita da un redattore molto presente e di potermi confrontare con un professionista sul mio lavoro. Quanto conta per lei il confronto con il pubblico?
Scrivere è solo confronto con il pubblico. Si racconta una storia affinché qualcuno la legga. Sono sempre pronta ad ascoltare le opinioni di chi mi legge, positive o negative. Quando scrive, procede seguendo un metodo?
Non proprio, non ho un orario, non ho un luogo. Solitamente inizia con un’idea che per giorni mi gira nella testa finché non ha una forma abbastanza solida. A quel punto, la scrivo. Scrivo molto a mano, seguo una struttura ma non scrivo mai nell’ordine della storia. Non riesco a scrivere nel silenzio, ho sempre della musica in sottofondo o la televisione accesa. Mi è capitato spesso di scrivere in aereo e sono sempre rimasta molto soddisfatta dei risultati. Perché si è iscritta a una scuola di scrittura?
Il narratore è un artigiano, costruisce una storia esattamente come il falegname costruisce il mobile, con i materiali, gli strumenti, la conoscenza. E come un falegname, deve sapere cosa sta facendo, altrimenti il mobile non sta in piedi. Non dico che sia necessario per tutti, ma lo era per me. Lo stigma delle scuole di scrittura esiste solo in Italia, come se occuparsi di un mestiere creativo richieda una specie di talento grezzo e naturale che non va toccato. Io credo che il talento, qualsiasi cosa esso sia, sia solo potenziale, abbia bisogno come ogni altra cosa di essere modellato e incanalato. Di Chiara pubblichiamo Ci penso io, racconto in tre tempi che, adoperando una struttura prevalentemente dialogica, descrive l’evolversi del legame tra due sorelle, sospeso tra le contingenze della vita quotidiana e lo sguardo surrealista. I. Il primo ricordo.
Una Superga rossa con le stringhe bianche atterra sonora su un gradino di marmo bianco. Dentro la scarpa, la piccola pianta del piede si distende, le dita si agitano. La bambina con i capelli arruffati salta sul gradino a piedi uniti, cercando di non farsi vedere dal padre.
“Alessia, sbrigati!” la chiama il padre in cima ai gradini “Ci stanno aspettando.” “Arrivo, arrivo.” [leggi tutto] * * *
Giovane ma già dotato di un timbro originale che ne mette in luce le potenzialità: così è Luca Scialò. Di formazione umanistica, coltiva un’idea alta di scrittura privilegiando autori come Dostoevskij, Balzac, Kundera, Sciascia, Melville, Primo Levi. I fratelli Karamazov e Moby Dick i due libri dentro i quali gli sembra “di aver davvero vissuto”.
Cosa rappresenta per lei la letteratura?
La letteratura è il linguaggio che ho sempre voluto parlare. In letteratura l’autore si esprime con coraggio, si mostra assumendosi la responsabilità di ogni parola, di ogni gesto, affronta e supera la paura di essere giudicato, con la quale conviviamo quotidianamente, esponendosi per primo e fino in fondo allo sguardo degli altri. Si separa con generosità da pezzi intimi della sua esperienza, per costruirci intorno la narrazione. Lavora con fatica e precisione, lasciando al lettore la possibilità di correre con sguardo rapido sopra le file di parole che lui ha allineato in precedenza, scegliendole con cura. La letteratura è l’espressione di un Autore la cui forza mi entusiasma, linguaggio che ignora il compromesso e i mezzi termini, che svela la confusione e l’ipocrisia. Ritiene che i classici abbiano valori da trasmettere alle nuove generazioni?
Sì, appunto il coraggio, la generosità, la precisione e la cura di cui parlavo prima. Questi sono valori che ritengo intrinseci a ogni libro che si possa definire un classico e, più in generale, strumenti fondamentali nella vita per la costruzione della propria felicità. Penso che, di generazione in generazione, essi vengano trasmessi ai lettori, ben oltre i limiti posti dall’intreccio e dal contenuto della narrazione stessa. Il narratore cuce le storie, le intreccia con sapienza e il lettore, semplicemente passando gli occhi sulla tessitura fatta di parole, si nutre di questi valori che soggiacciono alla trama, attraverso un processo simile a quello per cui l’acqua di un fiume si arricchisce di sali passando sulle rocce del letto in cui scorre. In questo modo la letteratura contribuisce alla felicità. Il libro che vorrebbe pubblicare.
Vorrei pubblicare un libro che mi rassomigli. In questi ultimi due anni ho compreso che trovare la propria voce è un obiettivo estremamente difficile per uno scrittore e allo stesso tempo un passo indispensabile per potersi definire pienamente tale. Vorrei pubblicare un libro con la mia voce. Attualmente sto lavorando molto in questa direzione, cercando di lasciar emergere nelle cose che scrivo anche le mie fragilità, i miei limiti e le mie paure, senza nascondermi. Perché si è iscritto a una scuola di scrittura?
Devo confessare che quando mi sono iscritto alla Scuola Holden credevo di essere già molto maturo dal punto di vista della scrittura; ero alla ricerca di un posto che mi potesse fornire quegli strumenti che credevo necessari a conoscere il mondo lavorativo del quale volevo far parte e a creare una rete di contatti che ritenevo indispensabile per entrarvi. Consideravo la scrittura una dote naturale e non credevo che una scuola potesse farmi progredire in questa direzione. Ovviamente mi sbagliavo. Ho scoperto presto di non essere affatto maturo come immaginavo e che la scrittura, come ogni altro talento, va allenata e coltivata con pazienza e dedizione. In questo la Scuola è stata un palestra preziosa, ben al di là di quelle che sarebbero potute essere le mie aspettative iniziali. Certamente quei contatti e quell’insieme di conoscenze che mi servivano dal punto di vista lavorativo sono arrivate, ma mai slegate dalla collaborazione e dal lavoro sulla scrittura che ho portato avanti in questi due anni. Il testo che Luca ci propone si intitola Lettera a un amico ed è incentrato sul tema dell’incomunicabilità. Stile naïf e sdoppiamento dell’io narrante sono i tratti caratteristici di un racconto che fa dell’espediente epistolare il proprio asse portante.
La prima volta che ho scritto ero bambino; avevo nove anni e facevo la quarta elementare. La mia scuola era un posto dove i maschi si soffiavano il naso direttamente nel grembiule e le femmine, a turno, dovevano lavare i piedi alla maestra di matematica in un giorno prefissato della settimana. [leggi tutto]
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