Elogio del verso libero

La galleria Hde ha ospitato una serata interamente dedicata alla buona poesia. Protagonista Boopen LED, la linea editoriale diretta da Aldo Putignano e nata per contrastare la dilagante editoria a pagamento.

 I poeti hanno unghie luride e Sono nata donna rappresentano due raccolte che si offrono al lettore ciascuna con tratti caratteristici autonomi e originali. Sono, tuttavia, accomunate da alcuni elementi forti il primo dei quali è il verso libero, ossia la conquista più rivoluzionaria che la poesia moderna abbia fatto. Ketti Martino da un lato e Floriana Coppola dall’altro mettono a frutto la lezione novecentesca e danno, così, vita a una poesia emancipata dalle gabbie metriche e retoriche, svincolata dalle leziosità della rima e da ogni altra tentazione virtuosistica. Entrambe le opere, per una precisa scelta di stile, assegnano una funzione prioritaria alla materia da narrare attraverso la parola poetica, una materia che scotta, che non è profumata e neppure pulita.

I poeti hanno unghie luride
è titolo programmatico che esprime in filigrana della ironia, quasi un ridimensionamento di quella idea un po’ intellettualistica secondo la quale il poeta è una figura eterea distaccata dal reale. A questa idea Ketti Martino dice no. Il suo ‘fare poesia’ prevede, al contrario, un atterraggio, una caduta libera dentro la vita. Quella vera. Quella fatta di esperienze in prima persona rischiando, sapendo che hai molto da perdere. È così che il poeta si sporca le mani e si imbratta le unghie. La Martino, che a questa antologia giunge dopo aver compiuto un percorso interiore, messi da parte pudori e paure, consegna alla poesia i dolori che hanno inciso la sua esistenza. E lo fa affacciandosi su un orizzonte postumo, da day after: l’io poetante si aggira tra le macerie percorrendo e rimarcando la linea di confine tra il prima e il dopo. La parola si fa evocativa e il desiderio di passato “gonfia le vele del ricordo e le solleva”. Ma oltre le “increspature del cuore”, oltre le assenze, vi sono ancora delle chance: non tutto è stato inutile, non tutto è andato perduto.

Un altro elemento che fa da collante tra i due libri è la sollecitazione a interrogarsi sul senso della scrittura. Differenti sono le modalità. Se Ketti Martino alimenta il suo canto lieve attingendo a una dimensione intima e privata, Floriana Coppola indirizza un grido severo contro i mali del nostro tempo. Il suo è uno sguardo panoramico che nella scrittura trova corpo e armatura, perché non ci sta a rimanere a braccia conserte: “poesia come vino, cibo disperso, rutto universale, urlo arcano/la poesia è una valigia di sassi nello stomaco”. Una poesia del fare, potremmo definirla, imprescindibile dalla natura dell’io poetante, natura di donna. Sono nata donna è anche il titolo di uno dei componimenti: “Hanno rasato il mio capo nel campo di concentramento, il soldato non mi guarda negli occhi, il suo corpo ritma una danza infernale sulle mie ossa/mi trascino nascosta nella stanza velata del burqa, stamane ma suocera mi ha sverginato con un ferro fasciato di lana, suo figlio non può toccare il mio sangue impuro/non cammino ancora ma una donna ha tagliato e cucito i miei genitali e mia madre non ha parlato/gli iracheni hanno portato il mio seno come trofeo di guerra e non avevo ancora conosciuto l’amore/amo, servo, perdono ancora un’altra volta, l’ennesima volta, tutti i figli di Caino”. Non solo a difesa delle donne si alza il grido della Coppola: il suo mondo poetico abbraccia tutte le creature a rischio di estinzione, gli esclusi, gli emarginati, gli ultimi. Questa attenzione per chi non ha voce connota la poesia in senso civile. La fortuna d’essere poeta risiede, in fondo, tutta qui. La fortuna e la maledizione.

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