L'intersoggettività negata
Le vite parallele di tre donne e dell'uomo che le accomuna in un romanzo per voci sole di Anna Petrazzuolo
ost mortem. Inizia dalla fine, Il cavedio, quadrilatero narrativo frutto di un lavoro di squadra che porta le firme di Francesca Bonafini, Mascia Di Marco, Patrizia Rinaldi e Nadia Terranova. Il libro, che è edito da Fernandel, si presenta come una singolare veglia funebre allestita per dare l’estremo saluto all’ultrasettantenne Patrizio Zefi, contrabbandiere e seduttore di lungo corso. Fedele solo a se stesso e alla logica dell’utilitarismo, quest’uomo ha vissuto recitando meglio di un attore scafato, muovendosi costantemente sul filo dell’illecito e frodando il prossimo. Comprese le donne. Ha posseduto tutte quelle che ha desiderato, ma non ne ha amato nessuna. Anzi, le ha usate e ingannate come soltanto una magnifica canaglia sa fare. Aveva calcolato tutto, Patrizio, tranne di dover poi fare i conti con la nemesi. Nel giorno della dipartita, infatti, sono proprio tre donne a ricostruire, segmento dopo segmento, la cronistoria delle sue gesta erotiche. La prima a cimentarsi in questa insolita omelia è la moglie. Floriana proviene da una famiglia di pescatori sciagurati. Accanto al marito tira fuori il tratto siciliano e volitivo della sua personalità e riesce così a riscattarsi raggiungendo uno status sociale ed economico di tutto rispetto, per sé e per i figli. Il filo del plot passa poi alle amanti, Marta ed Elisa, la poetessa e l’attrice. Prese entrambe da una passione autodistruttrice, non sono state in grado di elaborare il lutto dell’abbandono e restano per sempre sfregiate dallo stigma di Zefi, l’uomo senza etica e senza cuore che pretende la parola per ultimo, apponendo in questo modo il sigillo a una storia che non può certo dirsi a lieto fine.
L’opera è quasi un’epifania del relativismo poiché è strutturata in modo che le vicende dei protagonisti siano proposte al lettore da differenti angolazioni. Tuttavia l’aspetto davvero caratterizzante de Il cavedio è altrove. Ossia, nel silenzio che lo attraversa tutto. Perché è vero che il registro è interlocutorio e improntato al linguaggio parlato, ma i personaggi non si incontrano mai, sembrano dialogare e invece sono soli. Nei loro monologhi, lunghi e ininterrotti, si percepisce l’incapacità di comunicare, la frustrazione di tacere pur avendo tanto da dire, in vita e oltre. E allora l’oltre non può essere quello arioso e soleggiato della loggia, che apre prospettive e illumina il futuro. L’oltre qui è un buco, è “quella luce gialla e marrone del cavedio. Un chiaro di peste e stagno, d’aria attappata”. Il cielo è solo un miraggio in lontananza.
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