Quelle Eccellenze fatte a pezzi dalla comunicazione
Coerenza e organicità, i presupposti di un'immagine vincente di Anna Petrazzuolo
Quando si hanno molte frecce al proprio arco, si è tentati di riporre eccessiva fiducia in sé e di credere che, con la faretra in spalla, tutto il resto sia in fondo poco importante. Più che un errore di valutazione, è una trappola nella quale cadono spesso anche i migliori. Stavolta è accaduto a Eccellenze Campane, l’open space dove si può consumare e acquistare il meglio dell’enogastronomia campana. Nato nel gennaio del 2014, il complesso si trova a pochi passi dal centro di Napoli e richiama un numero altissimo di visitatori. È un successo più che meritato poiché in questa che viene denominata Terra del Buono, ogni prodotto – che sia dolce o salato, che si mangi crudo o cotto, che provenga dal mare o dalla campagna – è buono davvero, anzi eccellente. Selezionare è qui la parola d’ordine, l’imperativo categorico per portare a tavola solo ciò che è garanzia di qualità e distinzione. È per questo che le aziende, prima di essere accolte, vengono accuratamente controllate. Tutte.
Eppure, proprio mentre sul cibo nulla è lasciato al caso, una voragine invece la Terra del Buono presenta sul fronte della comunicazione, che di Eccellenze Campane è la maglia nera. Non lo diciamo noi di Distanze Lab, lo dice la pagina pubblicitaria che sfogliando il giornale mi sono trovata davanti. Dentro la cornice che fa pendant con il colore del logo, una sfilata di obbrobi equamente distribuiti: ve ne sono sopra e sotto, a destra e a sinistra, in orizzontale e in verticale. Da dove comincio? Dalla testa, naturalmente. Il messaggio non fa neanche in tempo a partire che già inciampa in uno strafalcione: lo spazio bianco tra l’apostrofo e la parola che segue. Scendendo mi imbatto nella parte visual del messaggio, ossia una gigantesca mela. Preferisco sorvolare sul fatto che la mela in questione sia stata prima addentata e poi messa in posa per la fotografia (morso vagamente allusivo al colosso di Cupertino che sta per sbarcare in città? spero di no). Ciò che interessa è l’acqua che annaffia la buccia, una scelta che avrebbe dovuto suggerire l’idea della freschezza ma che ha gli effetti di un boomerang. Infatti, la goccia che sporge sul versante sinistro del pomo e che, attraversati i rossi delle striature, sta lì lì per cadere, sembra piuttosto una sbavatura del colore, uno svarione causato dalla mano di un grafico maldestro. E non è tutto. La didascalia posta sull’altro lato del frutto, per dire che trattasi della mela annurca di Melito, si esprime in dialetto ma nel farlo incorre nel solito errore, ossia l’apostrofo sbagliato, quello che segnala elisione anziché aferesi. L’adozione del dialetto è negli ultimi tempi un fenomeno molto diffuso nella comunicazione, che se ne serve come se fosse una certificazione – la più attendibile – di genuinità (lo sanno bene anche quelli della Ferrero che, per tentare di riabilitare la Nutella dopo le notizie nefaste sull’olio di palma, hanno lanciato spot ed etichette che omaggiano appunto le varie parlate regionali del nostro Paese). Ma scrivere in dialetto – in tutti i dialetti – è una faccenda seria con molti rivoli fonetici e ortografici. Per cui, se non si conosce a sufficienza la materia, consiglio di non avventurarsi. Appena più giù, un avverbio sicuramente di troppo, l’inutile coda di un headline (titolo) dal tono già di per sé perentorio. Un’unica osservazione poi sul bodycopy, la parte testuale del messaggio pubblicitario, che sviluppa il concetto esposto nell’headline: pretestuoso. Per finire, arrivo al piede della pagina, dove compaiono in fila i loghi dei cinque social network a cui Eccellenze Campane è iscritta. L’ultimo dei loghi, quello che si riferisce a You Tube, è stato forse aggiunto successivamente e – quel che è peggio – di corsa? Me lo chiedo poiché mentre i primi quattro loghi sono separati da intervalli di egual misura, il quinto è più lontano, come se fosse stato appoggiato là frettolosamente.
Certo, su questo manifesto che lascia tanto a desiderare sia nel concept che nella composizione, si può anche chiudere un occhio ed essere benevoli. Ciascuno di noi è fallibile. E siccome la curiosità – per fortuna – non mi manca, ho voluto dare uno sguardo al sito web di Eccellenze Campane alla ricerca di una smentita. Vi ho trovato, invece, la conferma di una comunicazione arrabattata che procede con frequenti imprecisioni nell'ortografia, nel copywriting e nella composizione grafica.
Dov’è finito il criterio della rigorosa selezione che nella Terra del Buono applicano al cibo? L'immagine di un marchio passa anche attraverso la qualità della sua comunicazione, la cura con cui si rivolge ai destinatari, la capacità di essere coerente e fedele ai propri principi. Altrimenti quel marchio rischia di apparire come le demoiselles d'Avignon di Picasso, scomposto e disorganico. Per preservare la credibilità, nella Terra del Buono è necessario che anche la comunicazione parli il linguaggio dell'eccellenza, che in nessun modo deve far rima con l'ignoranza.
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