Mille donne in me
Al momento di prendere la decisione pił importante della sua vita di artista, Loretta Goggi ebbe una musa ispiratrice decisamente fuori dal comune di Anna Petrazzuolo
Spunta curiosamente il nome di Tina Pica in mezzo alle figure femminili che Loretta Goggi mette in colonna nel suo nuovo libro Mille donne in me (Piemme). Eclettica e istrionica, la signora più completa dello spettacolo italiano, dopo Io nascerò divenuto un bestseller, stavolta gioca coi doppi sensi lanciando un titolo che parrebbe alludere alle svariate donne prese di mira attraverso le imitazioni, prima al fianco del maestro Alighiero Noschese e poi da perfetta one-woman show. In realtà, questa seconda pubblicazione corrisponde all’esigenza di una ricerca introspettiva: «Io ho sempre cercato di fare introspezione per conoscermi meglio e spesso l’ho fatta confrontandomi con amiche, persone comuni o figure di donne che in qualche modo hanno acceso la mia curiosità, il mio interesse», dichiara la Goggi nel Prologo manifestando, appunto, il desiderio di un dialogo a distanza che amplifichi la consapevolezza di sé. Dodici sono le tappe di questo percorso – da Marianna Ucrìa a Valentina Vezzali, da Alda Merini a Estée Lauder – individuate evidentemente non per caso bensì in virtù di parallelismi e consonanze, affinità e convergenze. Così, il capitolo dedicato alla nostra Tina Pica, più che un omaggio tout court, è il momento in cui la Goggi ricostruisce la genesi di quella folgorazione per il genere comico che ha determinato tante delle sue scelte professionali. «Lei è stata un faro per me, che desideravo essere chiamata per ruoli di temperamento; o, meglio, il suo esempio mi spronò a domandarmi se davvero ne avessi, e se mi sarebbe riuscito far ridere, cosa che mi piaceva e mi piace ancora da matti... Avrei voluto avere i suoi tempi comici, le sue battute. Avevo pure notato che non aveva bisogno di una spalla per far ridere, lei funzionava di suo, anche accanto a un attore che dovesse dirle solo “buongiorno”». Insomma, quello che allora interessava alla Goggi era trovare un proprio stile, tutto femminile, senza doversi rifare al modello comico di un uomo. «Tina Pica in qualche modo mi aprì gli occhi: dovevo prima di tutto imparare a usare ironia e autoironia, doti non tanto richieste alle attrici del cinema o alle vedette della tv degli anni ’70, alle quali oltre al talento si chiedeva un’evidente “fisicità”. Quindi la prima cosa da fare era dimenticare il mio aspetto». In effetti, al fisico esile e minuto, la grande attrice napoletana contrapponeva una personalità imponente che le permise di interpretare meglio di chiunque altra il ruolo della zia rigida e autoritaria o della governante burbera e bisbetica. Chi non ricorda “Caramella”, la vecchia tata di Vittorio De Sica in un fortunatissimo ciclo cinematografico degli anni ’50? L’austerità con cui dispensava proverbi, la voce profonda e il latino maccheronico conquistarono anche Loretta, che all’epoca era solo una bambina. La Goggi ne racconta come se si trattasse di una di quelle fiabe che incrociamo da piccoli e che poi ci accompagnano nella vita. La sua scrittura vivace acquista qui un tono più confidenziale e si lascia andare a qualche considerazione sulla saggezza che arriva con la maturità: «I giovani pensano che i grandi abbiano vissuto una vita così normale, così priva di episodi esaltanti, di fatti straordinari, insomma, “così piatta e poco interessante”, da non poter trarre dalle loro raccomandazioni alcun consiglio o insegnamento. Credono, alla loro tenera età, di aver già vissuto e capito ogni cosa, di sapere tutto e comunque, rispetto ai familiari, di essere tanto svegli ed esperti da non poter commettere errori. Niente di più sbagliato». Parola di Loretta Goggi.
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