Chiedi alla polvere

A un mese dal terremoto che ha sventrato la parte di Appennino stretta tra Lazio, Marche e Abruzzo, la voglia di ricominciare passa anche per la Rete

di Anna Petrazzuolo

 

Qualcuno li ha definiti “la meglio gioventù di Arquata del Tronto”. A sentirli parlare, demoliscono con un colpo secco la diffusa convinzione che i giovani siano ormai a tal punto infatuati della globalizzazione da aver dimenticato le proprie radici. Il senso di appartenenza e l’amore per la terra in cui sono nati e cresciuti, li hanno spinti a creare il blog Chiedi alla polvere, un diario quotidiano online che servirà a mantenere accesi i riflettori e sensibilizzare chiunque sia disposto a dare una mano per la rinascita. Hanno preso in prestito il titolo del capolavoro di John Fante ed Erri De Luca è stato il primo a rispondere al loro appello.

 

Come hanno reagito gli anziani di Arquata alla vostra iniziativa?
Molto bene, anche i meno informatizzati: in questo momento ogni iniziativa che miri a fare restare il paese unito e a far conoscere la nostra realtà al resto d’Italia viene accolto da tutti in modo positivo. Siamo in un momento delicato, il campo tenda sta per essere smantellato e non tutti hanno trovato sistemazione vicino ad Arquata, molti sono ospitati ad Ascoli o negli alberghi della riviera fino a quando non sarà completato il nuovo villaggio. È il primo vero momento di separazione e noi cerchiamo con tutte le nostre forze di trasmettere un’idea di unità per far sì che i cittadini non perdano la voglia di ritornare.

 

Concretamente, cosa fate nella vostra “redazione con le ruote”?
Mettiamo in ordine la mole di informazioni, mail, messaggi, proposte e progetti che ci arrivano da ogni dove, cerchiamo di rispondere a tutti, selezioniamo le nostre notizie, le foto e il materiale da pubblicare, ci confrontiamo, parliamo e stiamo vicini, molto vicini…

 

I progetti nell’immediato?
Raccontare Arquata prima e dopo il terremoto.

 

Cosa rappresenta la polvere?
La polvere ha nascosto e sospeso il respiro a tutti quelli che erano lì, per la strada quella notte. Alla fine si è posata su altra polvere e ha coperto vite, identità, ricordi e sacrifici. Ha inghiottito un mondo. Il nostro mondo. La polvere è ancora ovunque: sui vestiti, dentro gli occhi, nelle scarpe, nella tenda, ma dalla polvere ci si rialza e può essere trasformata in un cemento più forte che mai, che protegga il nostro futuro e quello dei ragazzi che verranno.

 

Da John Fante a Erri De Luca, che senso ha per voi il cordone della scrittura?
È l’unico strumento che avevamo per cominciare la nostra opera di ricostruzione: parlare di ciò che stava accadendo, di ciò che era accaduto e di ciò che speravamo accadesse. Il nostro è un racconto quotidiano a cui manca un finale, ma abbiamo ben preciso da dove veniamo e dove vorremo andare, probabilmente non ci sarà mai una parola fine ma tante possibilità di iniziare una nuova storia.

 

A Erri De Luca vi lega anche un amore assoluto, quello per la montagna.
Infatti c’è stato un immediato feeling! Erri ha trovato esattamente le parole che ci servivano in quel momento per darci la forza e la grinta di vedere nel nostro piccolo progetto qualcosa di più grande di ciò che immaginavamo. Proprio come quando si va in montagna: la cima è l’obiettivo, ma non ha senso raggiungerlo se non si vive pienamente ogni piccolo passo che si compie.

 

Ben lontano dal cliché dello scrittore seduto in pianta stabile alla scrivania, Erri De Luca è stato il primo a farsi avanti accordando sostegno e collaborazione a questi ragazzi nei quali ha probabilmente riconosciuto la sua stessa determinazione per le battaglie apparentemente impossibili, e l’occasione di raccontare una storia davvero nuova: «La storia nuova è quella di una comunità che non accetta di essere spiantata, trasferita in qualche asilo in esilio. Un gruppo di giovani si accorpa per resistere meglio e sceglie di costruire un racconto a più voci del loro luogo, sul loro luogo, per il loro luogo. È un esperimento che seguo e incoraggio come posso. Ho avuto anche io i miei terremoti, le scosse che mi hanno buttato fuori di casa. Ammiro in loro la volontà di unirsi, di fare corpo e coro per farsi ascoltare. Chiedi alla polvere è il titolo di un romanzo di John Fante, un emigrato italiano in America. Riprenderlo oggi vuol dire scegliere di restare come polvere scossa che si posa. Il messaggio è chiaro per noi che abitiamo terre sismiche, ma per me è anche un richiamo alla nostra natura, descritta dalle scritture sacre, siamo noi la polvere, la nostra storia che ha la sua ultima resistenza nella polvere che non si lascia ridurre a niente, ma conserva un’ultima consistenza e una durata».

 

Chiedi alla polvere è qui.

 

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